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Peanuts


Noccioline

Il mio era un vizio molto privato, quello di leggere linus (minuscolo).

Mi recavo mensilmente all’edicola col timore di poter ricevere la sbrigativa risposta: “Terminato”! E non mi decidevo mai a prenotarlo, convinto di poter smettere quella frequentazione di bambini ansiogeni che non mi facevano per niente ridere ma che, fatalmente, mi attraevano. Mi sarebbe piaciuto conoscere l’altro, che mi sottraeva l’unica copia. Come, immagino, lui volesse conoscere me, quand’ero io a sottrargliela.

Nascondevo velocemente la rivista nella mia borsa di pelle, nella tasca interna incernierata, nel timore che un cliente potesse scorgerla e farsi di me un’opinione di uno che leggeva ancora i fumetti. Peggio, di uno che stava dietro a dei bambini.

Bambini? Glieli avrei voluto far conoscere quei bambini.

Insomma, per farla breve, quelle strisce americane mi mettevano in difficoltà, come il giovane Holden. Temetti che dietro lo pseudonimo di Charles Shultz si celasse quello vero di Jerome D. Salinger. Ormai eclissatosi chissà dove.

Non avrei mai potuto immaginare che, nel tempo, sarebbero diventate delle icone, delle metafore, come la coperta del piccolo Linus van Pelt, anche se il personaggio più disegnato non era lui, nonostante il titolo ma un bambino con la testa grande di nome: Charlie Brown. Uno sfigato a tutto tondo, come la sua testa. Uno che capitanava una squadra di baseball i cui giocatori lo boicottavano, a cominciare da quella petulante, bisbetica di una Lucy van Pelt, sorella del noto linus, con ambizioni di fare la strizzacervelli, senza mai dare un solo consiglio che non fosse: “Tirati su, cinque cents, prego”.

Per fortuna, a mettere un po’ d’ordine, c’era lui: Snoopy, un libero pensatore incarnato in un bracchetto (avrei chiamato col suo nome un mio cane). I personaggi che gli stavano intorno potevano comprendere le sue non parole, solo osservandolo. La sua capacità di sintesi, tranchant (conosceva il francese per aver fatto la grande guerra in Europa). Un grande scrittore, lo potevi intuire già dal suo geniale incipit: Era una notte buia e tempestosa… Presagio di un grande romanzo. Un francescano ante litteram: parlava agli uccelli. Un cane che non accettava di dover vivere in una buia cuccia, preferiva stare sul tetto a osservare l’infinito con un sano principio morale nella testa: “Guarda sempre in alto… è il segreto della vita”. Non ingordo come qualsiasi bracco; di fronte alla ciotola col cibo si poneva l’angosciosa domanda: “Ora di cena, non c’è altro nella mia vita”? “È questa la somma della mia esistenza”? “Vivo solo per mangiare”? “Non sono proprio capace di fare altro”? Per iniziare il frugale pasto con delle buone intenzioni: “Bisogna che una volta o l’altra, ci pensi”.

Non erano della sua levatura morale e psicologica gli altri. Piuttosto nevrotici, insicuri, maldestri. In una parola: infantili.

Dopo Salinger e Shultz mi venne un sospetto: che la nevrosi prima ancora di essere un fatto clinico, potesse essere un caso letterario. E poi, che questa patologia se la potevano permettere solo gli Americani.

Solo molto dopo, verificai di persona che poteva trattarsi anche di un malessere Europeo, Italiano. Persino meridionale; Un posto che - secondo Woody Allen - non potrebbe mai attecchire, troppo sole. Per lui, solo i Wasp degli States o i conterranei di un Munch, possono essere colpiti da questa impalpabile sofferenza (che sarà curata da un neo-rabbino, aggiungo io). Non certo coloro che vivono nello splendore di una luce azzurra e circondati da bellezze naturali, come in Italia, più precisamente a sud.

Mi sedetti.

Mi aspettavo che mi dicesse: “Tirati su, cinque cents, please”.

Non era Lucy van Pelt.

E costava molto di più.

[tratto dal mio racconto "I genitori di Scanzi & Renzi"]

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